Il mercato del lavoro post-COVID
Nella fase post-Covid il rapporto domanda offerta di lavoro è mutato radicalmente. Negli Stati Uniti ad agosto 2021, 4,3 milioni di persone hanno rassegnato le dimissioni – il 2,9% della forza lavoro – un record assoluto che sorpassa il precedente primato raggiunto in aprile quando furono ben 4 milioni (il 2,7% del totale).
Queste cifre, riportate dalla relazione “Jolts” (Job Openings and Labor Turnover Survey) realizzata dal Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti, rendono bene l’entità del terremoto che ha stravolto l’economia americana e indicano l’orientamento verso il quale si sta andando; una direzione decisamente opposta rispetto a quanto avveniva nel corso della pandemia, quando circa 20 milioni di persone avevano perso il posto di lavoro a seguito delle molteplici chiusure delle imprese.
E ancora adesso sono sempre i dipendenti a lasciare le società, anche senza avere nulla in mano, per valutare nuove opportunità, con salari migliori, ma anche e soprattutto in grado di offrire maggiore flessibilità.
Si parla di grande dimissione e di storica carenza del lavoro; c’è grande domanda, e le persone lasciano il proprio lavoro in cerca di condizioni di vita migliori.
Nonostante manchino ancora 5 milioni di posti rispetto ai livelli antecedenti la pandemia, le offerte professionali sono numerosissime, i dipendenti hanno maggiore scelta e si fa fatica ad assumere in diversi ambiti, soprattutto in quello alberghiero, della ristorazione e dell’edilizia.
Questo fenomeno si sta presentando in modo sempre più evidente anche nel continente europeo.
Le cause sono variegate: una tra tutte, il “lockdown”. Durante la crisi sanitaria, il lavoro da remoto ha consentito a diverse persone di apprezzare una qualità di vita migliore rispetto a quella alla quale erano abituate, spesso contraddistinta da ritmi di lavoro frenetici e tempi di trasferimento casa-ufficio-casa gravosi. Molti hanno avuto finalmente il tempo di rallentare e ragionare sul loro percorso professionale, in molti casi giungendo alla conclusione di non essere appagati e di poter ambire a qualcosa di migliore, di differente.
Cosa consigliare alle aziende affinchè possano tornare ad essere competitive, in grado di trattenere le proprie risorse e contestualmente assumere nuove persone?
È imprescindibile doversi adattare alla nuova realtà, rielaborando la propria Employee Value Proposition e le politiche di Welfare.
Pur non generalizzando, a prescindere dall’anzianità aziendale, dalla tipologia di studi effettuati, dalla cultura di origine, dalle differenze di genere, oggi si cerca equilibrio, conciliazione tra la vita professionale e personale, si considerano attrattive le opportunità che consentono almeno in parte di lavorare da remoto.
Si aspira al miglioramento continuo, ad un arricchimento in termini di competenze, quindi formazione, piani di carriera ben delineati, trasparenza, fiducia, responsabilità.
Si preferiscono quelle politiche retributive che oltre al salario fisso, prevedono un variabile legato ad obiettivi individuali e riconosciuto in base a criteri tangibilmente meritocratici.
Si è pronti, e in alcuni casi si predilige, valutare contratti a progetto e/o ruoli come temporary manager.
Chi ricopre oggi un ruolo nell’ambito delle Risorse Umane, sia internamente alle aziende, sia esternamente in qualità di consulente, si trova ad affrontare una fase particolarmente critica ma allo stesso tempo decisiva e sfidante.
Affiancare i CEO e gli imprenditori è e sarà sempre di più importante per gli HR chiamati ad agire in un ruolo strategico e non di mero “supporto”.
Lavorare insieme significa vincere insieme.
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